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Liquidazione controllata è ammissibile anche in presenza di un fondo patrimoniale se c’è l'impegno a rendere disponibile l’immobile

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Parti correlate: focus dei controlli nella governance aziendale

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Fallimento della società semplice: la Corte costituzionale tutela i soci

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Concordato minore: quando un solo creditore detiene la maggioranza dei crediti

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Revisione legale e ispezioni di qualità: come prepararsi al meglio

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Terminate le risorse per il credito di imposta 4.0 per investimenti effettuati nel 2025

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Procedura concorsuale: i requisiti si valutano alla data della domanda

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Istanza del creditore e assenza di patrimonio del debitore sovraindebitato

L’istanza di apertura della liquidazione controllata proposta da un creditore deve essere respinta ogniqualvolta il Tribunale accerti l’assenza effettiva di patrimonio liquidabile, anche nel caso in cui il debitore abbia aderito alla domanda e non abbia sollevato l’eccezione di incapienza ai sensi dell’art. 268, comma 3, primo periodo.
L’adesione del debitore, infatti, non vincola il giudice né limita il suo dovere di verificare in modo rigoroso la sussistenza dei presupposti sostanziali richiesti dalla normativa. Trattandosi di una procedura di natura pubblicistica, l’apertura della liquidazione controllata è ammissibile solo in presenza di condizioni oggettive che ne giustifichino l’attivazione. Tra queste, è essenziale che il debitore offra almeno una minima utilità patrimoniale, quale indice imprescindibile della sua meritevolezza.
Non può pertanto essere consentito l’accesso alla procedura sulla base di mere dichiarazioni d’intenti prive di riscontri concreti, né su ipotesi di redditi futuri non verificabili o non sorrette da elementi oggettivi. In assenza di beni da liquidare o di una quota di reddito apprensibile dalla procedura, la procedura stessa risulterebbe priva di funzione, trasformandosi in un meccanismo automatico di esdebitazione, in contrasto con la logica dell’istituto, che presuppone un minimo sacrificio patrimoniale da parte del debitore.
 
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