Nel contesto della previdenza complementare, l'articolo 8, comma 1, del Decreto Legislativo n. 252/2005 fa riferimento generico al "conferimento" del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturando alle forme pensionistiche complementari. Tale disposizione lascia aperta la possibilità che, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale riconosciuta dalla legge, le parti possano optare non solo per una delegazione di pagamento (ai sensi dell'articolo 1268 del Codice Civile), ma anche per una cessione di credito futuro (ai sensi dell'articolo 1260 del Codice Civile).
Nel caso in cui il datore di lavoro vada in fallimento, di norma spetta al lavoratore il diritto di richiedere l'insinuazione al passivo per le quote di TFR maturate e accantonate, ma non versate al Fondo di previdenza complementare. Ciò è dovuto alla risoluzione del rapporto di mandato, che comporta la revoca della delega di pagamento al datore di lavoro. Tuttavia, questa regola può subire un'eccezione nel caso in cui sia emerso durante l'istruttoria che vi sia stata una cessione del credito a favore del predetto Fondo. In tal caso, spetterà al Fondo stesso la legittimazione ad agire ai sensi dell'articolo 93 della legge fallimentare.
Questo principio è stato affermato dalla Prima Sezione Civile che ha accolto il ricorso presentato da un lavoratore contro la decisione dei giudici di merito che avevano respinto la sua richiesta di insinuazione al passivo nel fallimento del datore di lavoro, al fine di recuperare il TFR maturato ma non versato nel Fondo complementare.