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La mancata dichiarazione di debiti pregressi non basta a dimostrare la mala fede del debitore: il principio sancito dall’art. 69 CCI

Nel contesto delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, un recente orientamento giurisprudenziale chiarisce un punto cruciale in tema di responsabilità del debitore: la semplice omissione della dichiarazione di precedenti finanziamenti, da parte del consumatore, non è di per sé sufficiente a dimostrare la sua mala fede o il carattere fraudolento della condotta.
Il principio si fonda su una lettura attenta dell’art. 69 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), che stabilisce una condizione ostativa all’omologazione del piano o dell’accordo qualora risulti che il debitore abbia determinato la propria situazione di sovraindebitamento con colpa grave, mala fede o frode.
Ciò implica un onere probatorio ben preciso in capo al creditore che intenda opporsi all’omologazione per tali motivi: non è sufficiente provare il comportamento reticente o omissivo del debitore, ma occorre dimostrare che tale condotta abbia avuto un effetto causale diretto sulla formazione del debito complessivo. In altre parole, il creditore deve offrire prova, anche per via indiziaria, non solo della condotta scorretta ma anche del nesso causale tra tale condotta e il sovraindebitamento.
In assenza di tale dimostrazione, non può dirsi integrata la fattispecie impeditiva prevista dal legislatore.
Questo orientamento rappresenta un'importante garanzia per il debitore onesto ma in difficoltà economica: protegge da automatismi che rischierebbero di negare l’accesso agli strumenti di ristrutturazione del debito sulla base di meri sospetti o imperfezioni formali. Al tempo stesso, ribadisce l’importanza di un impianto probatorio solido, ancorato alla reale incidenza delle condotte contestate, a tutela dell’equilibrio tra le parti nel procedimento.
 
 
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